domenica 30 marzo 2008

[oldiest but goldiest] Pusher Trilogy di Nicolas Winding Refn (1996, 2004, 2005)



Avete mai pensato a Copenhagen come set ideale per un crime movie? Probabilmente voi no, ma fortunatamente Nicolas Winding Refn sì. Perché lui in Danimarca c’è nato, e proprio nel nordico paese ha deciso di ambientare la sua personalissima trilogia noir.



Prendendo in prestito l’impianto narrativo del Sin City di Frank Miller, (omaggiato apertamente durante i titoli di testa di tutti i capitoli, passaggio in cui ci vengono introdotti i personaggio di ogni episodio sfruttando primi piani fotografati con un contrasto tale da dividere i volti in tagli di luce e ombra), in cui i veri protagonisti sono la città e la sua selva criminale, immergendolo in un realismo agghiacciante e dalla potenza distruttrice irraggiungibile anche per il più alto picco post modernista, i tre film del Pusher (da non confondere con la localizzazione italiana del pessimo Layer Cake di Matthew Vaughn) di Nicolas Winding Refn si candidano come pietre miliari assolute in un periodo che pare aver rinchiuso il più metropolitano tra i generi all’interno della gabbia dorata del giochino meta cinematografico.



Dimenticate gli eccessi stilosi di Seijun Suzuki, il melodramma di John Woo, la mitologia di Coppola, qui siamo più vicini a un ideale trait d’union tra Lars Von Trier e Kinji Fukasaku: il mondo criminale visto attraverso il barcollante occhio impietoso della camera a mano, una direzione degli attori annichilente ( lo stesso Nicolas Winding Refn è stato richiamato per i rischi che una tale pressione può portare) e la voglia di distruggere cinquant’anni di iconografia del crimine. In Pusher tutto è sporco e sgradevole, non esiste moralità o redenzione: non ci sono killer romantici, boss eleganti e raffinati, talpe dalla moralità dilaniata. In Pusher troverete solo la vera criminalità, quella vestita male e disposta a tutto per due soldi, in maniera non troppo dissimile da come viene dipinta nel romanzo Bravi Ragazzi di Marinick o nelle promesse est europee di Cronenberg.



Colpi di scena come fucilate in pieno stomaco, la speranza di un domani migliore neppure presa in considerazione. Nessuna traccia di umorismo. Non c’è il dialogo brillante alla Tarantino, lo schizzo di sangue esagerato, il passaggio slapstick. Pare che a Nicolas Winding Refn interessi solo la miseria umana, il cammino discendente che porta una persona qualunque a mutare in un autentico zombi dal cuore ancora pulsante. E la sopravvivenza in un mondo popolato unicamente da questi mostri.



Tracciate un linea che vi porti agli antipodi di Miami Vice e ci troverete Pusher.



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