martedì 23 novembre 2010

Né belli, né dannati: Sangue Amaro di Abel/Soria/Pleece (Black Velvet/2010)




Come si scrive un bel fumetto sui nipotini di Dracula?



Prendi il trend vampirico. Spoglialo di tutti i luoghi comuni e di tutte le manfrine da depresso della domenica pomeriggio. Innestalo con robuste dosi di commedia adolescenziale. Ambientalo tra le minoranze etniche che popolano Los Angeles. Dimenticati rockstar, bei tenebrosi, metafore da quattro soldi e, in generale, tutto quell’ amore per le tenebre che si esaurisce quando mamma ti chiama per la cena. Colpo di grazia, evita le didascalie. Allora avrai Sangue Amaro.



Sangue Amaro (Life Sucks in originale, tanto per rafforzare il legame con certe tendenze dei '90s) è divertente, pop, romantico, frizzante, leggero e umanissimo. Senza gli eccessi gore che facevano ridere ai tempi di Peter Jackson o la solita sovversione dei clichè da bigino della metanarrativa. I nuovi vampiri sono commessi di un minimarket aperto 24 ore su 24 (naturalmente fanno il turno di notte), schiavi di un’ aristocrazia vampirica composta da coattissimi immigrati dall’est Europa (padroni di catene di negozi), destinati a innamorarsi di ragazzine dark. Da simili prerogative non poteva che nascere un fumetto coloratissimo e farcito di battute fulminanti, perfette nel dare tridimensionalità a una galleria di personaggi indovinatissimi (il conte Radu è MA-GNI-FI-CO). L’assenza di didascalie da all’insieme un ritmo vertiginoso, impedendo agli autori di scivolare nel perverso circolo vizioso in cui si deve sfruttare questo meccanismo narrativo per risultare profondi o poetici a ogni costo. In Sangue Amaro non ci sono discrepanze o giochi di significato tra quello che leggo e quello che vedo. Dovendo basare tutta la parte testuale del volume su dialoghi è inevitabile che l’insieme restituisca un’idea di realismo ed empatia. Traguardo ben più difficile da raggiungere se, al contrario, si ha la possibilità di leggere i pensieri dei proprio protagonisti. Quando stiamo con gli amici non possiamo sentire una voce off che ne riassume i pensieri. Ci basiamo su quello che ci vogliono dire e quello basta.



Sangue Amaro avvicina l’horror al suo lato più scanzonato, dimostrando una classe che non ha bisogno di provocazioni o cadute di stile. La leggerezza è un’arte che ultimamente si sta decidendo a sfoderare sempre più le unghie, riprendendosi a forza quello che il postmoderno si era portato via in un soffio. Ridere della vita di tutti i giorni, metterla sotto un’ottica solo apparentemente straniante, trovare un ritmo che sia leggero alla fruizione eppure inamovibile dall’immaginario. Una serie di operazioni che richiedono qualcosa di più di un continuo gioco al ribasso. Basando il tutto, tra le altre cose, sulla decodifica di una figura mitica che pareva ormai destinata all’esaurimento per sfruttamento intensivo: i vampiri passano da maledetti (emarginati cool) a outsider (emarginati e basta), evitando la sovversione di significato a favore di un più sottile slittamento in territori realistici. Nella vita vera difficilmente chi è tagliato fuori dal gruppetto dominante assume un’aurea di fascino tale da renderlo irresistibile, solitamente viene preso per il culo. Proprio come succede a Dave Miller e ai suoi amici. Adorabili perdenti.

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