venerdì 8 luglio 2011

Beavis & Butt-head live action: Fubar 2 di Michael Dowse (Can/2010)



fubar or FUBAR
(US, slang) Fucked up (or, bowdlerized, fouled up) beyond all recognition (or beyond all repair).
(US, slang) Fucked up but all right (flawed but working nonetheless).


Prendi una narrazione alla Arrested Development. Sostituisci Michael Bluth con due Beavis & Butt-head ultratrentenni. Ambienta il tutto in una raffineria di Fort McMurray (Canada). Da questi presupposti sviluppa la classica trama da fiaba natalizia, con un cancro ai testicoli al posto delle varie apparizioni spettrali. Questo, in pochissime parole, è Fubar 2.


A tratti sgradevoli come solo un Sacha Baron Cohen era riuscito a essere, le nuove avventure di Terry e Deaner ci arrivano come più vere del vero. Complice una costruzione dei personaggi perfetta, evidentemente modellata sulle esperienze personali degli sceneggiatori (il regista e i due protagonisti). Fubar 2 finisce per coinvolgere proprio per la sua capacità di fondersi con l’adolescenza media di ognuno di noi. I litigi con il migliore amico appena fidanzato (o viceversa), le prime (traumatiche) esperienze nel mondo del lavoro (sopratutto se extra-ufficio/studio), le sbronze, le stupidaggini, il compare di bravate sempre oltre il limite dell’autodistruzione, le droghe e il futuro che, tutto d’un tratto, diventa presente. Volenti o nolenti.


Passaggi comuni a un larga fetta della popolazione, solitamente vissuti sulla propria pelle dai maschietti e osservati dall’esterno dalle ragazze della compagnia. E proprio l’empatia che si viene a creare con lo spettatore medio permette al regista Michael Dowse di prendersi la libertà di un finale conciliante e, a modo suo (molto a modo suo), dolce. Per quanto mi riguarda, pensare alla mia adolescenza e scriverne un film con una conclusione tragica non sarebbe esattamente la mossa più onesta che potrei fare. Meglio ricordare quei tempi sconsiderati e convincersi che, nel bene e nel male, se oggi siamo persone felici deriva anche da come li abbiamo vissuti.


Tornando alle caratteristiche più prettamente filmiche siamo agli antipodi dei vari Old School o Una Notte da Leoni. L’umorismo pone l’accento sull’indole autodistruttiva dei nostri eroi, ritraendoli spesso e volentieri in condizioni rovinose. A differenza delle pellicole di Todd Phillips (come in qualsiasi altra commedia statunitense sul genere) non c’è redenzione per Terry e Deaner. Le droghe e l’alcool si consumano sullo schermo, senza moralismi. Spesso sono parecchio divertenti, altre volte hanno conseguenze molto meno piacevoli. L’ignoranza monumentale dei protagonisti fa ridere proprio per via della sua ingiustificabile forza d’urto e dell’imbarazzo che questo provoca allo spettatore. Non ci sono dialoghi da imparare a memoria o spezzoni da caricare da YouTube. La morte del cool.


Il minimo che ci potevamo aspettare da quei due perdenti sulla locandina.


Da segnalare un meraviglioso omaggio al compianto Ronnie James Dio, esilarante e triste (come tutto il film) allo stesso tempo.



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