mercoledì 27 luglio 2011

[Pyunologia pt.7] Omega Doom di Albert Pyun (US/1996)



Perché la storia (anche quella del cinema) non è fatta solo da chi sta in cima. Anzi, spesso è proprio dal basso che arrivano gli scossoni più interessanti. Basta saperli sentire. Partendo da questo presupposto ho maturato la decisione di recuperare l’opera omnia di uno dei registi più (ingiustamente) vituperati di sempre: Albert Pyun. Parte così Pyunologia, percorso in una poetica da VHS.


Prendi Rutger Hauer. Chiedigli (ancora una volta) di interpretare la parte di un ibrido androide/umano filosofeggiante. Infilalo nella sceneggiatura del remake non ufficiale (uno dei tanti) di Per un pugno di dollari e fai dirigere il tutto a un ex assistente di Akira Kurosawa. Bella serie di cortocircuiti, vero? Sono cose che succedono nel folle mondo di Albert Pyun.


Omega Doom è un film girato nei (per il regista hawaiano) bui anni ’90, un lungo periodo di transizione tra le glorie da videonoleggio del decennio precedente e la recente fregola da semi indipendente. Come per tutto il resto delle produzioni di questa parentesi il budget si colloca spaventosamente sotto la soglia di povertà, limitando il lungometraggio in ogni suo aspetto. 80 minuti, una location, dieci attori (gregari compresi), effetti speciali a 16 bit. Tutto condito con il solito gusto iperpop del Nostro uomo, capace comunque di ridersi addosso (come far capire che gli androidi sono androidi? Semplice, chiedendo agli attori di muoversi a scatti e piazzando qualche effetto audio alla T-800) e di concedersi l’immancabile lusso dei suoi guizzi di regia. Anche se, e va detto, mai così distribuiti con il contagocce.


Il senso di un film come questo sta tutto nel constatare ancora una volta come l’immaginario di Pyun sia spaventosamente simile a quello del suo fan medio. Abbiamo gli stacchi di montaggio tipici della scuola di HK, una trama che gioca con uno dei western/chambara più iconici di sempre, l’umorismo più o meno involontario delle produzioni bis, tanti riferimenti ai classici della fantascienza (anche quelli che verranno, vedi il look delle cattivissime ROM. Puro Matrix-style con 3 anni di anticipo) e un protagonista 100% badass. Che poi, per lo spettatore medio, sarebbe l’unico motivo degno per cui dedicare quasi un’ora e mezza della propria vita alla visione di questo film. Nonostante l’impossibilità di nascondere la natura di progetto come Omega Doom e la serie di scelte non certo positive da cui usciva, Rutger Hauer mantiene una dignità e una professionalità eccezionali. Il suo protagonista è di gran lunga la cosa migliore di tutto questo teatrino post-atomico. Smargiasso e duro come il più tipico dei pistoleri spaghetti western (richiamati in continuazione), filosofo e melanconico come solo un sopravissuto qualche scontro sanguinoso potrebbe essere. Una sorta di Frankenstein di influenze a cui il grande attore olandese riesce a dare spessore e credibilità.


La pecca maggiore di tutto il lavoro rimane comunque la mancanza di almeno una trovata totalmente folle e fuori controllo, aspetto ricorrente nelle pellicole di Pyun. Qui pare essersi concentrato il più possibile nel tenere lontano lo spettro della noia da un lavoro che in mano ad altri gli avrebbe svolto il tappeto rosso sotto i piedi. Missione pienamente raggiunta, grazie anche ai continui rimandi a film decisamente più importanti, ma poca roba per un uomo che ci aveva abituato alle fantasie di cartapesta più sfrenate.


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