lunedì 29 agosto 2011

[Stare male veramente] Today is the Day - Pain is a Warning (BMA/2011)



Se a questo mondo esiste una persona che non verrà mai avvicinata al concetto di poser quello è Steve Austin. Tra i tanti fenomeni che popolano il sottobosco delle culture apocalittiche lui fa parte di quella ristrettissima cerchia di artisti che stanno VERAMENTE male. Dai tempi del debutto Supernova fino a quel pozzo di disperazione che rispondeva al nome di Sadness Will Prevail. Un capolavoro al limite dell’inascoltabile, nero come la pece e impossibile da ascoltare da cima a fondo per chiunque non sia più che addentro a certe sonorità sludge (anche perché si parla di circa 150 minuti di assalto sonoro senza compromessi). Poi ecco arrivare il furioso grind di Kiss the Pig e l’omnibus Axis of Eden. Coda necessaria alle dilatazioni del precedente lavoro il primo, riassunto della carriera fino a quel punto il secondo. E poi? E poi è successo l’incredibile. Il reverendo (nomignolo di Austin da tempo immemore) firma per Black Market Activities e decide di farsi produrre da Kurt Ballou dei Converge. E’ la prima volta che qualcuno entra in cabina di regia durante le registrazioni della band. E il risultato è straordinario. Scompaiono tonnellate di sporcizia sonora ed emerge un nuovo suono, più nervoso e d’impatto. Sospeso tra southern, postHC e grind. Si sfronda ogni orpello superfluo dal tipico TITD sound, si diminuisce il numero di tracce destinate a essere impresse su cd, si sorvola sul piacere di far male all'ascoltatore con il rumore puro. Pain is a Warning è il disco più immediato e godibile mai registrato da Steve Austin, eppure riesce a essere anche uno dei più sentiti e intimi. Qualcosa è cambiato, il Nostro non è più quel folle che amava collezionare fucili anticarro e armi automatiche per poi concepire canzoni come This Machine Kills Fascists (ogni volta che sfoglio il booklet di Kiss the Pig ho i brividi, e non certo di piacere). Ora è un padre capace di scrivere una canzone sul dolore di non potersi economicamente permettere quello che i figli gli chiedono (Devil’s Blood). Così tra i solchi del disco finisce per trovare spazio, tra le varie bordate, una canzone come Remember to Forget, dove la goffaggine delle clean vocals riesce a rendere l'emotività del lavoro ancora più decifrabile e tangibile. Steve Austin non sarà mai un poser perché troppo sincero, iperesposto nella sua cocciutaggine di mettere su disco ogni cosa gli passasse per la testa senza il minimo filtro critico. Oggi, grazie alla scelta di aprirsi all’esterno e accettare che qualcun altro gli faccia da regista, potrebbe avere il riscontro di pubblico che si è sempre meritato.


3 commenti:

Officina Infernale ha detto...

un gruppo che ci ho messo anni a digerire, però adesso che li ho assimilati...

Officina Infernale ha detto...

cmq kurt ballou che ormai produce tutti (e bene) gli ha tirato fuori la potenza che secondome nei lavori prima non si sentiva tanto a parte in in the eyes of god, austin ha sempre compresso il suono rendendolo piu' sporco e "basso", se senti il terzo dei converge "when forever comes crashing" e il relativo remix di qualche anno dopo te ne rendi conto...cmq sto disco e' una manata in faccia con questi suoni...

MA! ha detto...

Vero, ormai Kurt è il produttore estremo di riferimento. Sempre estremo ma anche caldo e divertente. Steve invece tendeva a spingere troppo, con il risultato che continuava a buttare fuori dischi inaccessibili. Spero che adesso si prenda quello che merita, visto che dai TITD hanno rubato tutti.