martedì 25 ottobre 2011

Cose da pazzi: Deadpool Max di David Lapham e Kyle Baker



Osservare con occhio smaliziato le produzioni seriali significa venire a conoscenza di meccaniche e logiche magari invisibili al lettore casuale ma impossibili da ignorare per chi certa cultura la macina senza sosta da anni. Una delle variabili più tangibili e importanti nel valutare economicamente se procedere o meno con l’acquisto di un tpb (o di un albo) è il livello di difficoltà nello scrivere un determinato personaggio. Ci sono serie che con il minimo sindacabile garantiscono letture godibili e altre che invece hanno bisogno del grande narratore per raggiungere la sufficienza. Poi c’è una categoria a parte, quella dei titoli all’apparenza cazzoni ma in realtà quasi impossibili da scrivere e disegnare a buoni livelli. Prendendo visione delle atroci storie pubblicate ultimamente dalla Panini è fuori da ogni dubbio che Deadpool faccia parte di questa categoria. Un personaggio che campa ancora sui bei ricordi della sere di Kelly e McGuinness (anno domini 1997), pagine che sinceramente non ho il coraggio di andare a rileggere per paura di rimanere deluso.


Fortunatamente qualcuno alla Marvel ha finalmente realizzato che a un personaggio di questa risma occorre avere alle spalle una squadra di fuoriclasse, arrivando così alla conclusione di mettere a lavorare sullo stesso titolo due personalità come David Lapham e Kyle Baker. E finalmente anche Deadpool ha la sua serie meritevole di lettura. Eppure, ora che abbiamo sotto mano il risultato di questa strana unione, la ricetta non ci appare poi così complicata.


Via ogni giochetto metalinguistico sul mondo dei supereroi, riferimenti alla cultura pop o fiumi di battute scadenti. Porte spalancate per situazioni realmente sgradevoli (il calco delle chiavi nelle feci pescate da un wc), personaggi deviati e vicende sopra le righe (nell’accezione più matura possibile, vedi l’episodio dell’avventura sessuale all’interno dell’ospedale psichiatrico). L’intero arco sull’improvvisa paternità del protagonista è un piccolo capolavoro di follia, reso alla perfezione dalle anatomie deformate di un Kyle Baker completamente calato nel clima della narrazione. Ed è proprio l’autore di Perché Odio Saturno ad avere buona parte del merito di questo successo insperato. Il suo tratto, sospeso tra realismo e caricatura grottesca, restituisce il senso di straniamento (per nulla divertente) di un Deadpool incapace di tracciare una linea retta tra allucinazione e realtà. Caratteristica condivisa da tutti i suoi comprimari (pare che nessuno sappia veramente chi sia e che cosa stia succedendo) così come dal lettore, tenuto costantemente sulle spine. Bob lavora per la CIA o per l’Hydra? Domino è veramente Domino o si tratta solo di una ninfomane affetta da dissociazione? Deadpool lavora per i buoni o sta spingendo il mondo verso l’Apocalisse?


In Deadpool Max le storie sono tutt’altro che serie, eppure si ride pochissimo. Volutamente. E proprio qui il più grande risultato di Lapham e Baker: prendere un personaggio che tutti vogliono per forza di cose innocuo e divertente e restituircelo come sfaccettato, disturbante e imprevedibile. Lasciamo un giullare iperviolento e ritroviamo qualcosa di più simile al Joker, anche se privo della malvagità senza limiti del cattivo di casa DC. Perché pur sempre di un mercenario si sta parlando, e per i professionisti ciò che conta è portare a conclusione il lavoro. Indifferentemente da chi l’abbia commissionato.

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