domenica 26 febbraio 2012

Old school never dies: Goatwhore - Blood for the Master



I Goatwhore sono uno di quei gruppi talmente calati nel loro ruolo da diventare quasi parodie involontarie del genere a cui appartengono. Metal al cubo, privo di estrusioni extra-cliché. Se fossi un regista e dovessi infilare una band oscura nella mia storia probabilmente la introdurrei con un sample da questo Blood for the Master, tanto per non lasciare dubbi allo spettatore. Dai suoni alla copertina fino alle stesse canzoni tutto è studiato per essere aderente agli stilemi del filone in maniera quasi mimetica. Perfino il fatto stesso che il disco sia molto più godibile e leggero di quanto ci si aspetterebbe gioca a favore di questa teoria. Dopotutto si sta parlando sempre di rock’n’roll, la musica del demonio, non di avanguardie sovietiche.


Sembrerà retorico, ma l’arte di essere scontati senza annoiare un attimo (e senza puntare su di un’ironia mefitica e stopposa, alla finto grindhouse cinematografico) non è una disciplina per pochi. La materia di partenza bisogna conoscerla a menadito. Non a caso nessuno di questi ragazzetti è proprio di primo pelo. Lo stesso cantante Louis Benjamin Falgoust II un paio di capolavori ai posteri è già riuscito a tramandarli (A Deleted Symphony for the Beaten Down dei Soilent Green rimane una pietra miliare per foga e intelligenza, oltre che per l'umanità dei testi). Tanto per capire quanto gli interessi fare il fenomeno in qualche band sperimentale.


Alla fine pare di avere a che fare con una garage band infoiata con i Possessed e i primissimi Slayer. La vera differenza la fa la genuinità della proposta. Rispetto alle tante band di poser (finalmente utilizzo questo termine nel suo vero contesto!) improvvisatosi metallari della vecchia scuola solo in virtù dell’imperante moda del grim & gritty i Goatwhore con certe sonorità ci sono cresciuti veramente. Con tutta la retrograda ingenuità che ne deriva. Per nostra fortuna. Perché mettere sul lettore un disco che è “semplicemente” suonato bene, registrato senza esagerazioni digitali, composto con la pancia e la testa ben settati sui 16 anni è un lusso che ci possiamo ancora permettere tutti. Basta saperlo trovare. Una boccata d’aria fresca (poiché REALMENTE putrida) in un mondo appestato dalla malizia e dalla rincorsa a essere quello che gli altri pensano di volere.

E così capita che una band come i Nostri siano stoicamente bloccati sulle loro convinzioni da così tanto tempo da ritrovarsi al posto giusto nel momento giusto. Riffing spietato, mid tempo schiacciasassi, titoli dal tasso di tamarraggine esagerato (tipo My Name is Frightful Among the Believers) e sguaiataggine come se non ci fosse un domani. La vecchia scuola non morirà mai.  

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