martedì 12 giugno 2012

Shawarma o dim sum? East Meets West di Jeff Lau (HK/2011)



Chiariamo subito una cosa: Jeff Lau ha diretto il colossale A Chinese Odissey. Che ancora a oggi, nelle sue quasi tre ore e mezza di follia, rimane uno degli esempi più fulgidi e annichilenti di dove potesse arrivare la creatività del cinema di HK durante il ventennio d’oro. A questo aggiungeteci la produzione di Ashes of Time e la comparsata in The Bride with White Hair. Capite bene che se negli anni accumuli una tale quantità di crediti bonus puoi benissimo sbagliare qualche film senza scandalizzare nessuno. E infatti, a denti stretti, nessuno si è lamentato di KungFu Cyborg. Del suo umorismo scialbo e del suo digitale ultrapoveristico. Del suo trailer ingannevole e dei bei ricordi evocati di altri robottoni alla cantonese (vedi alla voce I Love Maria di David Chung). Fortunatamente però East Meets West è (quasi) tutta un’altra storia.

Pensate a un film di supereroi, ma fortissimamente localizzato in Asia. E per Asia non intendo il tecnologico Giappone ma la folkloristica Victoria Harbour (dove trovate l’unica Avenue of Stars che merita un pellegrinaggio nella vita). Nulla di nuovo, va detto. Dal cupissimo Opapatika di Thanakorn Pongsuwan al capolavoro The Heroic Trio di Johnnie To (supersonico, strabordante, kitsch. In totale antitesi con quello che sarebbe arrivato da lì a pochissimo e quindi fondamentale per poterlo capire) non sono pochi gli esempi di traduzione della mitologia del superuomo da americano ad asiatico. Via ragni radioattivi e sieri vari, avanti Buddha e un sacco di altre leggende a base di spiriti e reincarnazione.

Peccato che qui entri in ballo il già citato Lau, un uomo dotato di un’immaginazione e di una creatività troppo fervidi per la sua reale capacità di valutazione. E infatti East Meets West parte a mille all’ora, mettendo troppa carne al fuoco. Tutta la prima tranche è un caleidoscopio ultraglitterato dove vanno a incastrarsi l’umorismo del glorioso Bangkok Loco (di Pornchai Hongrattanaporn) e le intuizioni di All About Women (di Tsui Hark). Si ride e si rimane sconcertati in egual misura (va detto, ci sono almeno tre-quattro gag meritevoli di meme istantaneo. Ma anche un sacco di robaccia indegna), perdendo spesso l’orientamento. Poi entrano in ballo i superpoteri e la faccenda si complica ulteriormente. Se in Opapatika avevamo il tizio che melodrammaticamente subiva lui stesso le ferite inflitte ai nemici (continuo a non capirne il senso, ma apprezzo comunque l’allure maledetto) qui abbiamo il superchef con i ravioli al vapore giganti. Più altri sette personaggi più o meno sullo stesso livello.

E quindi? Abbiamo tra le mani l’ennesima gratuita parodia del genere (con tanto di riflessione mediatica alla X-Statix)? No, perché in mezzo a mille trovate folli il regista trova il tempo di inserirci la storia d’amore tra l'antagonista e la leader dei buoni. Trattando la materia con la sensibilità e il sentimento che merita (guarda caso è l’unica parte del film comprensibile). Alla stessa maniera ci sono un sacco di piccoli momenti agrodolci che parrebbero impossibili da inserire in un contesto dove il cattivone finale prevede innate doti da coiffeur, eppure Jeff ci riesce. Dimostrando di non aver perso il tocco con il passare degli anni.

Il risultato finale di tale potpourri emotivo non è certo un film "bello" nel senso consueto del termine. Nonostante un ritmo frizzante e una cura maniacale per la messa in scena ci sono troppe cose che non vanno. Eppure un sacco di gente dovrebbe dedicargli il tempo che richiede, anche solo come lezione di libertà creativa. O come dimostrazione che anche in un contesto cazzone e demenziale come questo un minimo accenno di profondità emotiva non è il sacrilegio che in troppi continuano a ritenere (a meno che non si tratti di una gag con Will Ferrell e Zach Galifianakis, allora va bene tutto).




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